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domenica 12 giugno 2011

La soledad (2007)

Quel caldo soffocante cominciava ad infastidirla. Non era più abituata all’umidità, al sudore, al bruciore della pelle. Si sentiva come una pianta secca sotto il sole cocente. Una pianta morta perché priva di acqua.
Seduta su una piccola sedia arrugginita meditava sugli ultimi anni della sua vita, ma il silenzio assordante dell’arido campo della casa dell’anziana nonna la distraeva. Si trovava a fissare degli oggetti, un piccolo aratro, la vecchia bicicletta dell’infanzia, perfino un sassolino. E si spaventava: nulla le dava emozione. Si sentiva completamente estranea al luogo. Certo, ricordava tutto, ogni attimo degli anni passati in quel posto ai margini del mondo reale, ma non riusciva a ricordare se stessa. Nulla. Come se la Carmen ragazzina non fosse mai esistita. Così il freddo del cuore le invadeva il corpo intero.
Quando un giorno improvvisamente lo zio le chiese il motivo della sua angoscia, la ragazza lo guardò spaventata e corse in camera sua.
O mio dio - pensò – lo zio aveva capito tutto, era venuto a conoscenza del motivo per cui era tornata nella sua vecchia casa e ora avrebbe dovuto confessare ogni cosa, anche alla nonna. L’avrebbero cacciata via per sempre e lei non avrebbe avuto più nessuno al mondo, sola per sempre, senza amore. E senza casa.
Questo pensiero non la fece dormire tutta la notte. Rimase con gli occhi spalancati fino all’alba. Dopodiché andò in cucina a prepararsi il caffè, ma dalla finestra vide la nonna seduta su una piccola seggiola in cortile a dire il rosario. Vide la beatitudine nello sguardo dell’anziana donna e la riconoscenza per la vita. Le venne il singhiozzo: capì che Dio l’aveva abbandonata. Cominciò a piangere, continuando a fissare la nonna che pregava. Piangeva lacrime caldissime, era tutta calda, si sentiva scoppiare. Si dimenticò del caffè e corse via dall’altra parte della casa per prendere la vecchia bici e pedalare fino al paese.
Appena arrivò in piazzetta si accorse d’indossare la camicia da notte. Per fortuna era da poco sorto il sole e non c’era quasi nessuno in giro, ma non poteva sicuramente rimanere là, vestita così. Risalì sulla bici e pedalò fino al mare. Era mattina presto, però si sentiva già un caldo insopportabile. Non c’era un filo d’aria e nessuna anima per la strada che portava al mare. Arrivata vicino agli scogli si spogliò di tutto e si tuffò in acqua.
Nuotò una mezz’oretta, libera da ogni brutto pensiero. Pensò che quel preciso momento avrebbe potuto essere una rinascita per lei. Sentiva di essere sempre stata parte di quel mare. Ne fu così convinta che quando uscì dall’acqua cantò a squarciagola canzoni in tante lingue diverse. Cantava e rideva. Lì sulle rocce, completamente nuda e coi lunghi capelli al vento.
Fu in questo modo che Pedro la vide per la prima volta. Quando Carmen si accorse di non essere più sola, ormai era troppo tardi. Il giovane era distante da lei meno di un passo. Non le rimaneva altro da fare che presentarsi fingendo una disinvoltura che non le apparteneva.
- Io sono Carmen. Tu?
Il ragazzo la seguì in acqua, dove rimasero a lungo. Conversarono su ogni cosa, principalmente su di loro, chi erano, la loro vita. Parlarono a cuore aperto, come è possibile fare solo con gli sconosciuti.
Pedro era un forestiero di ventitre anni, arrivato in paese da diversi giorni. Veniva dall’altra parte del pianeta. Nel giorno del suo diciottesimo compleanno era uscito dall’orfanotrofio in cui aveva vissuto tutta la vita e da quel preciso momento aveva vagabondato in giro per il mondo. Sempre da solo e sempre trovando, in qualunque posto si fermasse, un qualche modo per mantenersi. A volte era stato più fortunato, altre volte meno. Ogni tanto soffriva la fame, ma per fortuna alla fine se le era sempre cavata più che egregiamente. C’erano stati addirittura alcuni mesi in cui, avendo avuto più del necessario, aveva regalato qualcosa a chi era più povero di lui.
Carmen invece aveva ventiquattro anni ed era originaria del luogo. I suoi genitori non li aveva mai conosciuti. La madre poco dopo la sua nascita era stata rinchiusa in una clinica psichiatrica molto lontana da lì e non se ne era saputo più nulla. In paese si mormorava che si fosse uccisa. Carmen dava per buona questa teoria: il fantasma della madre la terrorizzava e aveva sempre cercato di allontanarlo il più possibile. Per quanto riguardava il padre, nessuno aveva mai saputo chi fosse, in quanto la madre non lo aveva mai rivelato a nessuno. Così Carmen era cresciuta con la nonna materna e lo zio da sposare in una casetta tra i campi. L’infanzia l’aveva trascorsa felicemente, correndo e giocando con amici immaginari. Ogni tanto veniva a trovarla qualche bambino che abitava in qualche campo vicino, ma erano rare quelle volte. Poi all’età di sei anni aveva cominciato ad andare a scuola in paese. Ogni mattina prendeva la sua piccola bicicletta e pedalava veloce, arrivando sempre un secondo prima che suonasse la campanella d’inizio. A scuola sia i compagni che le maestre non la trattavano bene: era figlia di una pazza peccatrice e dunque una bambina da tenere a debita distanza. Carmen soffriva di questo, ma non lo dava a vedere. Si teneva tutto dentro perchè era molto orgogliosa e mai avrebbe voluto mostrare le sue debolezze. Solo la nonna e lo zio sapevano quanto piangeva nella sua stanzetta appena tornava a casa da scuola. Ma gli anni passarono e un giorno la bambina si ritrovò ad essere una donna con una piccola bicicletta e le mani rovinate per il bucato fatto ogni giorno a mano nei pressi di un fiumiciattolo vicino casa. Una donna di diciotto anni che per tutta la sua vita non aveva fatto altro che aiutare la nonna e lo zio, studiare e giocare da sola. Solo una volta le era successo un fatto straordinario, diverso dal solito: si era innamorata. Un vero colpo di fulmine, che purtroppo finì per bruciarle il cuore. Un uomo sulla quarantina che veniva dalla capitale era in paese per alcuni importanti affari. Non si seppe mai che mestiere facesse o esattamente che interessi potesse avere in quel paese dimenticato dal mondo. Fatto sta che si fermò per un mese intero. Tutti si accorsero del suo arrivo, sia per l’abito che per la dizione perfetta. E come tutti anche Carmen, allora diciassettenne, lo notò subito. Era molto bello, alto e magnetico. Rimaneva a fissarlo incantata ogni volta che lo incontrava, finché lui se ne accorse e cominciò a ricambiare gli sguardi. Ricambiò così insistentemente che i ruoli s’invertirono: prima era lei a seguirlo, poi fu il contrario. Un giorno l’uomo la seguì addirittura fino a casa. Carmen lo assecondò: pedalò molto piano, tre metri davanti a lui, quasi ci fosse stato un tacito accordo tra i due. In realtà non si erano neppure mai parlati.
Arrivati davanti a casa di lei c’era la nonna che li aspettava.
- Nonna, ti presento il professor Antonio, è il nostro supplente di letteratura. L’ho invitato a casa a mangiare perché qui in paese non ha nessuno ed è sempre solo. Mi è sembrata un’azione buona da fare. O no?
A Carmen riusciva bene raccontare bugie, le raccontava talmente bene che ogni tanto finiva col crederci pure lei stessa. Anche quel giorno fu bravissima. L’uomo poi le tenne il gioco benissimo, inventando a sua volta una miriade di favole. Mangiarono e chiacchierarono di gusto, finché la nonna decise di andare a fare il riposo pomeridiano nella sua camera. Lo zio era fuori casa e sarebbe tornato solo a sera per cena. Erano quindi rimasti da soli in cucina.
- Ma tu chi sei? – gli chiese Carmen d’un tratto.
Lui la guardò con un piccolo ghigno, le si avvicinò e la baciò in modo violento. Dopo un po’ lei lo allontanò bruscamente. Gli disse che in casa della nonna non era consentito, ma che lui poteva avviarsi tra i campi e che lei lo avrebbe raggiunto entro dieci minuti.
L’uomo, molto innervosito, pensò che la ragazza non lo avrebbe mai raggiunto e se ne tornò al paese a cercare qualche consolazione, ovvero l’unica prostituta del paese, la Lola. Ma dopo dieci minuti esatti Carmen corse tra i campi. Lo cercò per un’ora intera, senza trovarlo. Non l’aveva aspettata. Agitatissima corse fino in paese a cercarlo e, dopo diversi giri a vuoto, lo vide per caso uscire dalla casa della Lola. In quel momento Carmen scoprì per la prima volta nella sua vita, ma purtroppo non per l’ultima, le sofferenze del cuore. Era pietrificata. Quando riprese un po’ di forze ritornò a casa camminando piano e ansimando per le lacrime. Disperata. E lo fu ancor di più quando i giorni seguenti scoprì che l’uomo se ne era andato via dal paese improvvisamente come era arrivato. E con lui se ne era anche andata l’ultima parte della Carmen bambina.
Pianse per parecchi giorni, ma poi pian piano l’immagine del suo primo amore svanì e furono altri i pensieri ad occuparle la mente. Decise, infatti, che voleva andarsene dal paese appena avesse finito la scuola. Voleva frequentare l’Università. Avrebbe lavorato e studiato. La nonna e lo zio non avrebbero dovuto preoccuparsi di nulla e così un giorno comunicò loro i suoi programmi. La nonna inizialmente era contraria, ma alla fine lo zio la convinse. Carmen doveva avere la possibilità di costruirsi un futuro migliore, lontano dai pettegolezzi del paese, in un ambiente più libero e aperto. Si meritava tutto questo, era stata fin troppo brava e paziente. E poi con lo studio avrebbe avuto la possibilità di fare chissà quali grandi cose e quante soddisfazioni si sarebbe tolta.
Così, una volta preso il diploma, la ragazza partì. Il saluto con la sua famiglia quasi le uccise il cuore, ma alla fine riuscì a prendere il pulmino che la portò alla città più vicina. Qui, per la prima volta nella sua vita, prese il treno. Arrivata alla capitale scese dalla locomotiva talmente felice di quella nuova esperienza che la volle subito ripetere. Così prese un altro treno e, a causa del nuovo biglietto, finì i soldi che lo zio gli aveva dato. Così la mattina seguente si ritrovò in una nuova città di un nuovo Stato e senza un soldo in tasca.
Erano passati cinque anni da allora, cinque anni intensi ma difficili. Tante cose erano cambiate e tante l’avevano cambiata. Ma nonostante ciò, dopo tutto quel tempo si ritrovava a vivere ancora a casa della nonna, senza soldi come allora, sola come allora, e a dare confidenza agli sconosciuti come allora.
- Hai parlato più tu – le disse Pedro sorridendo.
I due ragazzi uscirono dall’acqua e, dopo essersi asciugati e rivestiti, s’incamminarono verso il paese.
Pedro alloggiava a casa di un anziano signore, il quale gli offriva ospitalità in cambio di alcune commissioni che il giovane era tenuto ad eseguire scrupolosamente. Quel giorno però non aveva avuto nessun incarico. Così Carmen decise d’invitare il nuovo amico a cena, poiché cucinare per tre o per quattro non avrebbe fatto alcuna differenza.
La nonna e lo zio quando videro quel bel ragazzo con la nipote, furono molto contenti. Finalmente Carmen stava ricominciando a vivere. Da quando era tornata, infatti, non mostrava alcun segno d’emozione. Dormiva, mangiava e aiutava nelle faccende di casa. Nient’altro. Così da due settimane. Solo quel giorno, per la prima volta dal suo ritorno, si era spinta fino in paese.
Tutti quella sera furono felici e soddisfatti: la nonna e lo zio perché vedevano la nipote ridere e scherzare e i due ragazzi perché finalmente avevano trovato qualcuno con cui parlare sinceramente in quella regione dimenticata da tutti. Erano talmente simili Carmen e Pedro e le loro storie si assomigliavano così tanto, che bastò qualche ora per convincere entrambi che era il Destino ad averli fatti incontrare. Tra loro però non esplose quel sentimento chiamato amore. Solo una grande amicizia, una vera fratellanza. E nelle settimane seguenti diventarono inseparabili. Si raccontarono ogni cosa, compreso il terribile segreto che tormentava Carmen e che l’aveva fatta fuggire a casa della nonna.
Pedro quando seppe tutta la storia disse all’amica di non pensarci più, perché “era una cosa da niente, di quelle situazioni che nella vita a tutti possono accadere”. Il segreto stava nell’andare avanti a testa alta senza incolparsi di nulla ma imparando da quei “piccoli sbagli”. Un piccolo sbaglio, questo era stato. Un piccolo errore di valutazione, nient’altro. Anche Carmen sembrò convincersene e per un periodo quasi non ci pensò più. Ricominciò così a dormire sogni tranquilli, senza incubi. Stava talmente bene e serena che ormai non sentiva più la sua vecchia casa come un rifugio dove nascondersi, ma come un luogo dove vivere finalmente serena e felice.
D’un tratto però tutta questa tranquillità venne turbata dall’arrivo di un’amica di Carmen, Maria. Le due ragazze si erano conosciute all’Università e avevano stretto da subito una grande amicizia. Ma negli ultimi tempi la vita le aveva cambiate. Entrambe.
Appena arrivata in paese la forestiera chiese subito informazioni su dove abitava l’amica e in men che non si dica si ritrovò sperduta tra i campi a bussare alla porta di una vecchia casa. Carmen fu sconvolta alla vista dell’amica. Maria lo fu ancor di più alla vista di tutta quella povertà.
Quella sera cenarono tutti assieme: la nonna, lo zio, Carmen, Maria e Pedro, che ormai si era trasferito in quella casa.
Prima di andare a dormire le due amiche andarono a fare una piccola passeggiata intorno all’abitazione. Carmen era molto innervosita e spaventata.
 - Come ti è venuto in mente di venire fin qua? Vuoi mettermi in pericolo?
Maria le rispose con un tono freddo e minaccioso.
 - Sono venuta perché è bene che tu sappia tutto quello che è successo dalla tua partenza. Carmen sono qui per riportarti a casa tua a sistemare le cose!
- Questa è casa mia! Non ho altro da dirti Maria.
- Sei impazzita? Tu, mio fratello e il vostro amico avete mandato all’aria la mia vita. Sono mesi che cerco di riparare ai vostri errori. Certo che sono cose che mi riguardano, eccome! E per fortuna ti ho trovata. Domani mattina riparti con me, se no, quanto è vero Iddio, faccio venire qua la polizia a prenderti!
Quelle parole svegliarono Carmen dal sogno profondo in cui era piombata dall’arrivo di Pedro. Capì che non aveva altra scelta che fare come le ordinava l’amica. Doveva affrontare la questione, qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare doveva farlo, ormai non c’erano alternative. La sua piccola fuga dalla realtà era terminata definitivamente.

*

Tutto era cominciato una mattina d’aprile di qualche anno prima. Carmen correva, era in ritardo. Il suo turno al Café stava per cominciare e se avesse fatto ritardo il padrone l’avrebbe quasi sicuramente licenziata: stava soltanto aspettando un pretesto per farlo. La ragazza non le piaceva, perchè era una straniera. L’aveva assunta per colpa di un’urgenza e da qual giorno non vedeva l’ora di liberarsene.
Correva Carmen in quel vecchio quartiere universitario. Correva. E alla fine arrivò un attimo prima che il turno cominciasse. Si mise in fretta la divisa e iniziò a prendere le ordinazioni ai tavoli. Bevande calde la mattina andavano per la maggiore. Le piaceva l’odore della colazione e serviva ogni cliente con l’aria soddisfatta. Tutti i clienti, eccetto un ragazzo molto strano di nome Romeo, che se ne stava sempre in un angolo a leggere i giornali sportivi e a scommettere sulle partite. Ingeriva quintali di caffeina ogni giorno e ciò gli procurava tremori molto strani. Carmen era convinta che un giorno sarebbe morto di tachicardia. Ogni tanto la notte faceva addirittura degli incubi riguardo a questo inevitabile decesso. Si svegliava tutta agitata e rimaneva in questo stato fino a che non lo rivedeva alla solita postazione. In un certo senso si può dire che ormai si era abituata alla sua presenza e, per quanto la infastidissero parecchio i continui sguardi non proprio innocenti di lui, il ragazzo era diventato ormai una costante nelle sue frenetiche giornate di lavoro e di studio. Un punto fermo, come il sole.
Quella mattina però Romeo cambiò atteggiamento. Le venne incontro davanti al bancone e con un sorriso mai visto prima le fece mille domande, su chi era, da dove veniva e cosa faceva. Carmen era sbigottita. Gli rispondeva in modo un po’ brusco tra un’ordinazione e l’altra, ma pian pianino si addolcì. Così appena finito il turno si ritrovò a tu per tu con il nuovo amico. Il ragazzo aveva dei lineamenti molto dolci, ma lo sguardo e la voce lasciavano parecchi dubbi sulla sua condotta.
- Vieni con me Carmen!
Lei lo seguì. Ma Romeo camminava molto in fretta e la ragazza faceva fatica a tenere il suo passo. Così ad un certo punto lui si girò e con tono arrabbiato la incitò a sbrigarsi. Scesero giù per delle scale tutte rotte e molto vecchie e si ritrovarono in una piccola cantina buia, illuminata solo da un pallido filo di luce. Si trattava del seminterrato della biblioteca universitaria. C’erano un paio di scaffali vuoti e arrugginiti. Nient’altro.
A Carmen si bloccò il respiro. Romeo intuendo l’imbarazzo della nuova amica si fece una piccola risata. Poi le si avvicinò e le prese le mani. Era vicinissimo a tutto ciò che in quel momento desiderava più di ogni altra cosa.
Lui era fatto così. Viveva di momenti, alla giornata. Cercava di prendersi tutto ciò che la vita sembrava offrirgli per poi buttarlo via, come avevano fatto con lui tanti anni prima. Appena dopo aver visto la luce, infatti, era stato lasciato davanti ai gradini di una chiesa, avvolto solo da una piccola coperta di lana sottile. Nato e abbandonato, senza nome né identità. Era così cresciuto in un orfanotrofio comunale, a pane e latte. Era cresciuto addirittura col sorriso, ma una volta diventato abbastanza grande per capire la crudeltà delle persone, aveva cominciato ad arrabbiarsi con tutto il mondo. Ma soprattutto era diventato grande senza che nessuno gli avesse insegnato ad amare. Correva dietro ai suoi istinti, nient’altro. Solo una volta si era comportato in modo nobile e disinteressato. Aveva visto per caso una ragazzina mettere un neonato in un cassonetto dell’immondizia. Era una zingarella. Con aria infuriata Romeo le si era avvicinato urlandole cose mai sentite. La giovane madre era scappata e lui aveva ripescato tra i rifiuti il piccolo. Lo guardò singhiozzando e con occhi sgranati. Poi lo mise sotto la sua giacca e corse fino alla chiesa più vicina. Il ragazzo tremava e il bambino piangeva. Nessuno li sentiva, il luogo sembrava deserto. Camminò fino in fondo alla navata, appoggiò il piccolo sull’altare e si accasciò a terra in preda alle convulsioni. Il neonato piangeva sempre di più e le campane cominciarono a suonare in modo assordante. Romeo urlava di dolore, in preda alla disperazione più totale. Per fortuna in quella chiesa che sembrava abbandonata arrivò una giovane suora, la quale calmò subito entrambi i trovatelli. Parlò loro con frasi dolci, li cullò tra le sue mani e loro smisero di piangere. Romeo la guardò negli occhi fissandola come fosse un fantasma. Il riflesso degli occhi azzurri della suora lo svegliarono dal torpore della disperazione e corse via, velocissimo, come inseguito da qualcuno di cui non avrebbe mai voluto vedere il volto.
Ma non scappò da Carmen quel giorno d’aprile in quel luogo buio e misterioso della biblioteca. Le guardò gli occhi e trovò una somiglianza con sé stesso. La guardò tutta e la prese tra le braccia. La ragazza si sentì girare la testa e fece un giro per divincolarsi. Lui la riacchiappò, la morse come si morde un pezzo di pane e le sussurrò parole che le avrebbero fatto da eco per mesi e mesi. Carmen sentì come se d’un tratto fosse ritornata indietro nel tempo. Ricordò la ragazzina alle prese col primo sussulto del cuore e le salì l’ansia. L’amore, la perdita, tutto. La madre morta, il padre fantasma. Si sentì in preda alla pazzia. Così con una forza mai avuta prima si liberò dalla foga di Romeo e scappò via.
Ormai si era fatto buio e il quartiere si era svuotato dal via vai giornaliero. Potette in questo modo correre libera, senza intralci. Ogni tanto si girava dietro di sé per assicurarsi di non essere seguita, ma con dispiacere si accorgeva di essere la sola per la strada all’ora di cena e che il suo Romeo non la stava inseguendo.
Finalmente dopo innumerevoli giri inutili arrivò a casa. Penelope, la sua coinquilina, stava cucinando una zuppa molto saporita, il cui profumo si era sparso nell’intero appartamento. Carmen poteva distinguere ogni pietanza tagliuzzata all’interno della pentola. Il pesce, la verdura, il pomodoro, il peperoncino, ogni cibo. In quel momento si sentiva come una piccola carota o una piccola cozza affogata in un brodo bollente. Scottava. La sua temperatura era salita come se avesse avuto l’influenzava.
- Ciao, non mi sento di mangiare, vado a studiare – disse con un filo di voce a Penelope.
Restò sdraiata sul letto cinque minuti, ma i crampi della fame la riportarono in cucina. Insieme alla sua coinquilina mangiò con gusto, ridendo e cantando canzoni in tante lingue e dialetti. Era come un ballo per scacciare via tutto: più mangiavano e più ridevano, e più ridevano e più cantavano. Come in un cerchio, una giravolta infinita. Sempre più veloce.
Sfinite andarono a letto. Carmen quella notte non riuscì nemmeno a chiudere gli occhi. Si sentiva in preda al delirio, quasi fosse stata posseduta. Non si sentiva nemmeno più padrona del suo corpo: si agitò e si dimenò tutta la notte sotto le coperte, cercando la posizione più comoda per placare gli arti e l’animo. Ma nulla. Niente l’avrebbe calmata quella notte e neanche le notti seguenti. Il suo stato di agitazione sarebbe durato talmente a lungo, che alla fine sarebbe diventato un’abitudine, come le bevande calde la mattina.
Neanche la sua grande amica Maria riuscì a placare le sue ansie. Cercò in tutti i modi di persuaderla a lasciar perdere una tale preda. Ma nessuna parola, nessun discorso, niente avrebbe più potuto convincere Carmen che Romeo non fosse l’uomo della sua vita. Lui però da parte sua non le diede mai motivo di illudersi: la trattava sempre in malo modo e a volte neanche la salutava. Si definiva una persona sincera, che non aveva bisogno di mentire. Offriva agli altri poco, solo le briciole. Il bambino abbandonato non si fidava di nessuno e non voleva in alcun modo legarsi o dipendere da alcuna persona, figuriamoci da una giovane creatura come Carmen.
Ogni tanto si rincontravano da qualche parte e ogni volta era sempre peggio per il fragile animo della straniera. Le grida soffocate, le risate, le ferite. La solitudine li avvicinava e li allontanava, in un labirinto in cui Carmen perse di vista l’uscita. Lei la mente, lui il corpo sfuggente di un destino malato. Lei che sapeva, o credeva di sapere, quello che lui era e che voleva. Lui invece che non sapeva lontanamente chi lei era e che voleva.
Maria si rese conto che ormai Carmen aveva perso la ragione. Così un giorno s’incontrò in gran segreto con Penelope per discutere sul destino della loro amica. Davanti a una tazza di cioccolata al peperoncino e cannella parlarono a lungo. Era un pomeriggio d’autunno. Da sette giorni ormai pioveva ininterrottamente. Si diedero appuntamento in un piccolo ma accogliente Café del centro, mentre Carmen era impegnata a seguire una lezione all’Università. Il cacao sciolto e fumante finì col fondere la preoccupazione delle ragazze. Disquisirono sull’amore, sul suo significato. Psicanalizzarono tutti e tutto. Ma non arrivarono a nulla. La soluzione era lontana, più lontana dell’altra parte del mondo, più lontana della Luna, più lontana di Romeo quando spariva per qualche viaggio. Nessun discorso di nessuna amica avrebbe mai potuto fermare l’inevitabile successione degli eventi.
Quella sera, infatti, le ragazze avevano appuntamento: una grande festa. Anche Carmen voleva andarci, anche se con grande tristezza e disappunto per tutto ciò che la vita sembrava offrirle. Era un periodo in cui Romeo sembrava essere sparito dalla circolazione e lei non si dava pace.
Verso le undici le tre giovani donne arrivarono alla festa. C’era molta gente, per la maggior parte giovani. Carmen, Maria e Penelope si stavano divertendo. E tra un ballo e l’altro sembravano aver lasciato a casa i pensieri, i ragionamenti, le paure.
Quella sera quasi per magia tutti i partecipanti alla festa ridevano beati e felici. Tutti, tranne uno, che fuori dal locale stava quasi per morire.

*

Il corpo inerme sul marciapiede bagnato dalla pioggia. Il respiro che pareva mancare. Una piccola folla intorno che gridava per lo spavento e la curiosità morbosa.
Povero Romeo, cosa gli era mai capitato per ridursi in quel modo?
Carmen appena lo vide giacente a terra capì molte cose. Come se una finestra si fosse spalancata nella sua mente e il buio fosse per sempre scomparso dal mondo. Guardò le amiche con aria ormai consapevole e seguì il malato sull’ambulanza.
Da quel momento le cose cambiarono. All’alba del nuovo giorno la vita di tutti girò per un altro verso, come se uno spartiacque avesse tagliato per sempre il debole filo di una routine giornaliera a tratti rassicurante. Un uragano di fuoco aveva smembrato ogni certezza.
Maria sapeva, sapeva tutto. Era sempre stata informata della situazione del giovane orfano, ma mai ne aveva proferito parola con Carmen. La ragione principale per la quale aveva agito così era stata proteggere suo fratello Alex, complice anch’egli di tutto il male. Ormai però Romeo era prigioniero del grigio ospedale della città e la verità stava disinvoltamente venendo a galla. 
Nei corridoi Carmen era la sola ad aspettare la risposta dei dottori. Soffocava le lacrime mangiandosi le unghie e fissava perplessa ogni persona che passava. Così ad un tratto si ritrovò a fissare Alex che camminava verso di lei.
Perché è qui il fratello di Maria? – chiese a sé stessa.
Lui, una volta di fronte a lei, la osservò con uno sguardo che pareva avere mille significati. La ragazza era sempre più smarrita e lui non proferiva parola. Stettero in silenzio, uno di fronte all’altra per un bel po’. Poi ad un certo punto, finalmente, li interruppe il dottore. Romeo era salvo, aveva avuto un malessere, ma si sarebbe ristabilito presto. Lo avrebbero dimesso entro un paio di giorni.
Era quasi l’alba ormai e Alex riaccompagnò a casa Carmen. Lei lo invitò a prendere un caffè e lui accettò. Penelope dormiva ancora. La casa era buia. Bevvero il caffè in un silenzio quasi mortale, finché la giovane straniera non ce la fece più e urlò.
- Dimmi tutta la verità! Che cosa è successo? E tu cosa c’entri?
Era tutta rossa, agitata. Si sentiva il sangue alla testa. Le venne un senso di nausea e pensò di vomitare addosso al nuovo amico, ma poi si ricordò di avere lo stomaco completamente vuoto. Alex la guardò con aria insolitamente spaventata, prese la giacca e corse via. Era la prima volta che scappava da qualcuno. La prima volta che qualcuno lo aveva messo così in difficoltà. Una giovane per giunta.
Penelope si svegliò e raggiunse in cucina l’amica. Stettero in silenzio, sedute, un paio d’ore. Pensarono a tante cose, alla morte, all’amore. Pensarono che la vita quasi sempre non era come uno la voleva. Capirono che le persone che s’incontrano sul cammino non sempre corrispondono a ciò di cui si ha bisogno. Si è sempre appesi ad un filo. E non solo l’esistenza lo è, ma anche l’animo, la gioia, l’equilibrio. Tutto è precario. Niente è per sempre. E forse nulla esiste davvero.
Questo pensarono le due amiche, in silenzio, in quella vecchia e arrangiata cucina, respirando pesantemente, come gli anziani.
Nel pomeriggio, senza aver dormito, Carmen tornò in ospedale per far visita a Romeo. Entrò nella stanza. Lui dormiva con la mascella contratta. Gli toccò il viso, i capelli, finché lui aprì gli occhi. Il senso di nausea della mattina ritornò nel corpo della giovane, che osservava l’orfano con sguardo sempre più terrorizzato. Lui non parlava. Lei cominciò a piangere, finché per la vergogna di essere così fragile corse via. Pensò che quello non fosse il suo posto e che nulla avrebbe potuto fare per aiutare quella creatura così sola.
Quella notte la straniera sognò la sua casa, la nonna e lo zio. Sognò il caldo negli aridi campi e il mare che conosceva più del suo cuore. La nostalgia per la libertà dell’infanzia ormai perduta la fece scivolare nella malinconia più profonda. Ma durò poco. Soffocò tutto come al suo solito e con aria di sfida affrontò i giorni seguenti mentendo a tutti. Soprattutto a Maria e al fratello, coi quali si vedeva sempre più spesso. Così un giorno, quasi per caso e per magia, si trovò ad essere la ragazza di Alex. E fuggì con lui su un’isola dorata per scappare dai problemi. Di entrambi.
Il mare era diverso da quello che conosceva e al posto degli scogli c’era una sabbia molto fine. Non si sentiva il profumo del sale e nemmeno quello della terra. L’amore poi era diverso, quasi impercettibile. Come un vestito da sera. Bello, ma scomodo. I tacchi erano troppo alti. E la solitudine in quell’oasi in mezzo all’acqua sempre più forte.
Ogni tanto poi Alex scompariva per qualche ora e Carmen si ritrovava a fare amicizia con anime tristi come lei. C’era ad esempio una signora, oramai anziana, che vendeva la frutta in un baracchino. La donna raccontava volentieri la propria vita a chiunque le accennasse un sorriso. Era nata sul continente in una ricca famiglia, ma il padre un giorno per una malaugurata sorte perse tutto e morì di dolore. La madre, purtroppo malata di un morbo incurabile, decise di dare in sposa la giovanissima figlia Medora ad un mercante di spezie e pepite. Così la donna si ritrovò, fin dalla giovane età di quattordici anni, scaraventata nel mondo con un uomo accanto. Medora e suo marito si spostavano ogni mese in un luogo diverso, attraversando paesi ricchi e poveri, in guerra e in pace. Finché un brutto giorno l’uomo abbandonò la donna sul ciglio di una strada per scappare con una zingara. Da quel momento la vita di Medora prese tutte altre strade, molto curve, che alla fine la condussero in quell’isola a vendere la frutta in un baracchino.
Carmen ogni volta che ascoltava la storia di quell’anziana signora si commuoveva fino a piangere e correva da Alex per sentirsi meno sola. Ma al ragazzo non interessavano i turbamenti della giovane e liquidava il tutto in poche e false frasi consolatorie. Ad Alex interessava solo la Carmen che era scappata con lui e che gli alleviava il peso della solitudine. Ad Alex interessava solo la Carmen che aveva smesso di fargli domande e che aveva accettato il corso degli eventi senza ribellarsi. Ad Alex, in fondo, interessava solo se stesso. E lei lo sapeva.
Così la giovane straniera continuava a fare amicizia con le anime tristi dell’isola per condividere con loro i tormenti della vita. Il suo preferito era con un ragazzino di dodici anni, Sigfried, che se ne stava tutto il giorno a vendere noci e latte di cocco al molo. Era il figlio di una giovane coppia al servizio del più ricco signore dell’isola. Il padre era il guardiano della grande villa, la madre invece era la cuoca. Sigfried raccontava a Carmen tutte le ricette che sua madre cucinava e la ragazza cercava di memorizzarle per filo e per segno. Dal pesce alle torte, dai cocktails al caffè, tutto aveva una ricetta particolare e unica. Quasi una magia. C’era la grigliata di gamberi giganti insaporita da piccole bacche salate e ricoperta di pepe verde. Oppure la torta al cacao con scaglie di ananas inzuppate nell’acqua vite e zucchero di canna caramellato. I cocktails erano poi farciti di ostriche o miele e il caffè immerso in boccali di frutta candita gialla e rossa. Ma il piatto preferito da Carmen era la “salata magica”. Era anche il piatto preferito del gran signore dell’isola. Così ogni giorno Sigfried le raccontava la ricetta: “Dentro un pomodoro gigante danzano cozze, lumache, stelle marine. Fiocchi di riso cadono poi come neve e vanno a posizionarsi sul fondo. Infine petali di vegetali speziati ricoprono il tutto sprigionando un profumo afrodisiaco”. Carmen amava la ricetta di quell’insalata. Le ricordava il calore della sua terra e del suo mare. Della sua casa.
Un giorno però Alex scomparve. Sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Voci pettegole sparsero la voce che fosse scappato con una sirena di terra, una donna di vita, verso una meta ignota. La verità la si scoprì solo un mese dopo, quando Carmen venne a sapere che il suo novo amico era stato colpito dal male che aveva steso per un po’ Romeo. E in tutto quel mese era stato curato segretamente da una saggia infermiera, Rosita, anch’ella senz’alcun dubbio donna di vita. Non restò a Carmen altro da fare che scappare via, lontano da quell’isola ormai maledetta.
Prima Romeo. Ora Alex. La storia si ripeteva, sempre uguale. Quel male oscuro continuava a intromettersi nelle vita di quei giovani, soli e abbandonati ormai da tempo dalla fortuna.
Carmen prese la prima nave disponibile e salpò lontano, senza avere in mente nessuna meta precisa, col solo desiderio di fuggire lontano. Ma Alex appena seppe della fuga si ristabilì in un batter di pinne, la raggiunse e insieme fecero ritorno nella loro città, quella dell’Università, di Maria e di Romeo. Fecero ritorno fingendo di amarsi, come se niente fosse successo, come se la giovane nessuna spina avesse mai dovuto ingoiare.

*

La vita in città proseguì in modo insolito. Maria, ormai a un passo dal conseguimento della Laurea, brillava sempre di più. Anche in amore. Aveva, infatti, conosciuto il miglior partito della città e la loro relazione viaggiava a gonfie vele. Il fratello Alex si era gettato a capofitto nel lavoro del padre. Carmen non era più una cameriera, né una studentessa, ma lavorava come segretaria per il fidanzato. Solo Romeo aveva continuato con la sua solita vita, senza capo né coda, senza donna fissa, senza amore. Ogni tanto lui e Carmen s’incontravano, stavano un po’insieme e poi litigavano. Lui l’accusava di essersi venduta, lei di essere un animale. Urlavano che non si sarebbero rivisti mai più, ma poi dopo qualche settimana per caso si rincontravano e tutto si ripeteva.
La straniera si sentiva in un limbo, da cui non sapeva come uscire. O come uscirne viva. L’apparenza ingannava tutti, a volte persino lei. Si svegliava al mattino con un pesce di nome Alex che odiava, per tutti i tradimenti che le faceva sopportare. Per non parlare poi di quella sua strana malattia che sembrava non volesse più andarsene via. Ma allo stesso tempo Carmen sapeva con certezza che fuori da quella casa non avrebbe avuto più nulla. Né una casa, né un lavoro, né un’amica. Neanche la possibilità di studiare. E probabilmente neanche Romeo, che mai l’avrebbe voluta libera come una sirena nel mare. Si sentiva codarda e vigliacca, perché aveva paura ad affrontare la vita da sola, senza la protezione di quella nuova famiglia. Così quasi ogni giorno ripeteva tra sé e sé di essere felice, di amare Alex e di odiare Romeo. A volte però si confondeva e per sbaglio dalla sua voce usciva la flebile frase: “Sono infelice, odio Alex e amo Romeo”. Ma erano soltanto momenti.
Un giorno accadde però un fatto inaspettato. Carmen sorprese seduti ai tavolini di un caffè Alex e Romeo che parlavano. Le venne un nodo alla gola. I suoi due peggiori incubi che chiacchieravano disinvoltamente a sua insaputa. Perché? Per quello che ne sapeva lei i due non si parlavano più da molto tempo. Da ancora prima della partenza per l’isola dorata. Perché allora? Perché le avevano mentito?
Questo dubbio atroce la assillò per settimane. Cercò di indagare, ma non riuscì a scoprire nulla. Così decise di affrontare a viso a aperto Alex.
 - Perché ti vedi con Romeo? Siete tornati ad essere amici?
Lui le passò lo sguardo dai piedi fino alla testa e le rispose con un ghigno.
-         Perché hai tu l’esclusiva su Romeo? E ora lasciami in pace che ho da lavorare.
Carmen rimase a bocca aperta, come un pesce fuor d’acqua. Alex sapeva, sapeva tutto. La leggeva nel pensiero. La guardava dentro. Sapeva che lei era innamorata di Romeo. Sapeva che era infelice. Ma sapeva anche che non poteva vivere senza di lui, Alex, il quale accettava tutto questo perché l’amava. E si vendicava tradendola sistematicamente, con qualsiasi femmina gli passasse vicino. Carmen capì tutto questo in quel momento e uscì dalla stanza ammutolita ma consapevole della nuova verità.
Era talmente sbalordita e sbigottita dalla scoperta che si dimenticò totalmente del dubbio che la tormentava da settimane. Perché Alex e Romeo si vedevano? Cosa avevano da dirsi? Avrebbero dovuto odiarsi e invece sembrava tutt’altro.
Tuttavia, dopo qualche giorno, ci pensò Romeo a spiegarle tutto. S’incontrarono per caso, come sempre, in un viuzza del centro. Lui la scrutava con sguardo cupo, cercando di leggerle i pensieri, ma non ci riuscì. Dovette allora accontentarsi di parlarle a voce bassa. Lei ascoltava impietrita, senz’aprir bocca e senza parole.
- Devi andartene Carmen, salvati prima che sia troppo tardi. Vattene e non tornare mai più indietro. Hai capito? Devi scordarti di tutti noi, per sempre.
La straniera lo guardava incredula. Non capiva più niente. I dubbi nella sua mente si stavano moltiplicando. Le sembrò ad un tratto che la testa le stesse per scoppiare.
- Andarmene via? Scordarmi di tutti? E per quale motivo? Cosa è questa storia?
Questa volta fu Romeo a non capire più nulla. Anzi, forse a capire per la prima volta. Quella che aveva davanti non era la donna che pensava.
- Come sei ingenua, Carmen. Non hai mai capito nulla e tutt’ora non capisci. E forse è meglio così. Ascoltami, vattene via, lontano. Ritorna al tuo paese se non sai dove altro andare. Salvati!
- No, ora mi spieghi tutto, ogni cosa, se no quant’è vero Iddio divento il tuo peggior incubo. Il vostro peggior incubo.
Romeo sembrò arrendersi.
- Vediamoci domani a mezzogiorno alla biblioteca. Di sotto. Non dire a nessuno dove vai e non farti seguire.
A quel punto ognuno tornò a casa sua. Era la prima volta che s’incontravano senza nemmeno sfiorarsi. Avevano parlato a diversi centimetri di distanza. Nessun contatto, nulla. Sole parole incomprensibili uscite dalla bocca di Romeo.
Quella notte ovviamente Carmen non chiuse occhio. Alex però non sembrò accorgersi del nervosismo della compagna. Anzi, fu buono e gentile. Era diventato un cucchiaino di miele da quando lui e la giovane avevano avuto quello scontro verbale qualche settimana prima. Da allora pareva addirittura che neanche la tradisse più. Così la mattina seguente Carmen si diresse alla biblioteca concentrata solo a scoprire la verità.
Romeo era lì ad aspettarla, cupo e nervoso come al solito. La guardò fissa negli occhi e, senza che lei potesse emettere neanche un suono, le spiegò la sua verità.
- Io e Alex una volta eravamo amici. Grandi amici. Poi le cose sono cambiate. Ho cominciato a lavorare con lui e con suo padre. Tu sai di cosa occupano? No, che non lo sai. Tu fai la segretaria, praticamente è come se non facessi nulla. Si tratta di affari illegali. Ti risparmio i particolari, ma una cosa te la devo dire Carmen: se rimarrai ancora con loro ti rovinerai la vita, diventerai complice di tutto e prima o poi farai cose di cui poi ti pentirai. Tu sei una brava ragazza e loro ti usano perché sei una preda facile. Devi andartene prima che sia troppo tardi. Io non posso farlo, sono troppo coinvolto. Ma tu puoi ancora farlo, lo devi fare. Anche perché tra non molto qualcuno finirà in una cella buia e quella persona o sarò io o sarai tu. Non sicuramente loro. E adesso vattene e non fare mai più ritorno.
Carmen ascoltava tutte quelle frasi con attenzione. Romeo sembrava sincero e anche molto preoccupato. Neanche per un secondo però le passò per testa l’idea di andare via. Pericolo o non pericolo, quella era ormai la sua città, la sua vita. Non poteva fuggire via come se nulla fosse. Non poteva lasciare le persone che amava e da cui ormai dipendeva completamente.
- Perché mi dici queste cose? Non te ne è mai importato nulla di me. Invece adesso, non si sa per quale motivo, dici che devo scappare via. Affari loschi, prigione, e chissà che altro. Perché dovrei crederti? Perché dovrei credere a te e non ad Alex? Perché?
Romeo a qual punto la guardò come si guarda una pazza che ha perso completamente la ragione e se ne andò via, lasciando la ragazza da sola e chiudendo per sempre le porte all’amore. Carmen non provò nemmeno a fermarlo, nemmeno con una parola. Lo vide andar via con la consapevolezza che tutti i suoi sogni di ragazza erano irrimediabilmente svaniti per sempre. L’unica certezza era la fine della falsa realtà in cui viveva, la fine delle illusioni su Romeo, su Alex, la fine di tutto. Però la fuga no. Quella no. Voleva restare e capire chi era diventata e fino a che punto sarebbe stata disposta a rischiare per le persone a cui si sentiva legata da un vincolo affettivo che quasi la soffocava. Voleva comprendere fino a che punto l’amore l’avrebbe ripagata. O se invece la solitudine che sentiva dentro sarebbe stata per sempre la sua unica amara metà.

*

Per la seconda volta nella sua vita Carmen ripercorreva il viaggio dal suo paese verso la nuova città. Per la seconda volta nella sua vita lasciava qualche certezza per dirigersi verso un destino ignoto. Questa volta però il viaggio lo fece in compagnia di Maria, che per tutto il tempo non disse nemmeno una parola, e di Pedro, il suo nuovo amico.
La straniera era molto agitata. Maria le aveva raccontato ciò che era successo durante la sua assenza e il momento della resa dei conti stava per arrivare. Così nella sua mente provò a ripercorrere l’intera vicenda per cercare di trovare una spiegazione razionale all’intera vicenda.
Tutto era iniziato cinque anni prima, quando si diresse nella nuova città per studiare all’Università. A quei tempi era una ragazza piena di speranza. Aveva cominciato a frequentare i corsi di legge e per pagarsi da dormire e da mangiare era diventata un’abile cameriera di uno dei Cafè più frequentati dagli studenti. Aveva anche trovato delle buone amiche, come la dolce Penelope e la sua ricca compagna di corso Maria. Una mattina d’aprile di qualche tempo più tardi aveva poi avuto l’occasione di conoscere uno strano tipo di nome Romeo, del quale si era follemente innamorata. Purtroppo però il giovane non sembrava ricambiare il sentimento con tanta intensità. Così la ragazza aveva cominciato a tormentarsi e a soffrir d’insonnia. I suoi tormenti poi raggiunsero l’apice della disperazione quando Romeo venne trovato quasi in fin di vita per la strada. Ed ecco all’improvviso subentrare sulla scena Alex, amico di Romeo e fratello di Maria. Ecco comparire dal nulla questo nuovo personaggio, che consolandola le fece dimenticare l’amore per poi portarla verso l’isola dorata, lontana dalla grigia città. Fu un tempo indefinito quello della fuga: né un sogno né un incubo. Un limbo. Una sosta fuori dal mondo. E poi il ritorno, l’abbandono degli studi, il lavoro da Alex, la solitudine. Ogni tanto Romeo e i dubbi, i desideri, le bugie. Le verità mai dette e mai comprese. Quella strana malattia che ogni tanto visitava Alex e Romeo e che li univa, forse più del lavoro, certamente più della loro Carmen. Infine gli avvertimenti di Romeo di scappare e la volontà invece di rimanere per scoprire tutto. Per scoprire la realtà delle anime sole che la circondavano. Dunque la verità. E la complicità di Carmen verso tutti e tutto, che spaventò più gli altri che lei stessa. La complicità verso gli affari della nuova famiglia e la complicità verso ciò che procurava i malesseri dei suoi giovani uomini. Con una forza d’animo che s’inventò da un giorno all’altro scoprì la verità e ne diventò complice. Il gioco però si fece talmente pericoloso che un giorno la legge venne a bussare alle loro porte. Ma con un giorno di ritardo, che sembrò bastare ad Alex per mettere in salvo sé stesso e la sua bella Carmen. Lui verso l’isola, lei verso il suo paese. Due direzioni diverse con la promessa di non rivedersi mai più e di andare avanti dimenticandosi di ogni cosa. Lui l’aveva amata, l’aveva rovinata e ora la lasciava andare. E lei sfinita dal gioco delle complicità si era finalmente arresa all’evidenza di quel grigio mondo in cui si era rifugiata e alla mancanza di amore nel cuore del suo Romeo, che quella mattina in biblioteca non le propose di scappare via insieme ma le chiese di andarsene dimenticando ogni cosa. Romeo quella mattina non scelse l’amore, ma la solitudine per tutti e due. Per lui e per Carmen.
Così la straniera era ritornata al suo paese e aveva provato a dimenticare ogni cosa, grazie soprattutto al nuovo amico Pedro. Ma ecco spuntare dal nulla Maria, l’amica che le aveva taciuto tutto fin dall’inizio e che ore la voleva riportare alle sue responsabilità. E che per farlo aveva usato l’arma più tagliente che possedeva: la notizia di Alex e Romeo in prigione. Carmen doveva ora testimoniare al processo, a costo di mettere in pericolo sé stessa.
Durante tutto il viaggio in treno la domanda più ricorrente che le passò per la mente fu: “Perché?”. Non c’era alcuna spiegazione a tutto quello che era successo. Si era fatta travolgere dagli eventi, come un sassolino in mezzo alla corrente del fiume.  Non aveva neanche per un secondo usato la ragione. Era stata guidata dall’istinto, dall’amore, dalla passione, dalla paura. Nessuna riflessione. Solo il terrore di perdere quello che lei credeva amore. La paura di rimanere da sola.
Infine, al termine di quel lungo viaggio in treno, pensò ad una frase che le aveva detto Maria la sera prima:
- Alex non è riuscito a scappare per metterti in salvo. Quindi vedi di dire al giudice tutto ciò che può servire a liberarlo. Glielo devi. Non devi fare altro che dare tutta la colpa a Romeo. Ricordati, se non salvi la mia famiglia nessuno potrà salvarti.
Ma Carmen non voleva essere salvata e soprattutto non voleva dare tutta la colpa a Romeo. Voleva soltanto liberarsi del male che le opprimeva il cuore e da lì riprendere i fili della sua vita.
Girò la testa per guardare negli occhi Pedro. Lui le sorrise dolcemente. Lo sguardo del suo nuovo amico la rassicurò e si sentì un po’meno sola.
Arrivata all’ultima fermata capì ciò che avrebbe dovuto dire al processo. Doveva spiegare la sua verità, ricordare tutti i dettagli e affrontare le conseguenze delle sue azioni. Doveva raccontare la solitudine.
(A.A.)